issue #23: Slow living
Caleido intervista Gianvito Fanelli, ideatore di Vita lenta. Benvenuti in Caleido, diario d’ispirazione che contiene molte storie: di persone creative, di tendenze, di viaggi, di oggetti. / Leggi qui l’Editor’s letter
Diario di: @vita________lenta

1. A giudicare dai molti progetti ai quali ti dedichi (il designer, il giornalista per Vice e ItalySegreta, @dip_trasformazione_digitale, @loiconversano, @munchies_italia, @colazione.email e soprattutto @vita________lenta), ne deriva una vita tutt’altro che lenta. Da dove nasce l’idea di aprire un account chiamato Vita lenta? In che modo ti approcci all’ideale dello slow living?
Mi hai scoperto… Provo a vivere una vita lenta, ma non è cosa facile e non ci riesco sempre… Io lo chiamo “il paradosso di Vita lenta” perché in realtà conduco una vita abbastanza frenetica, e una delle attività che mi occupa più tempo è proprio la gestione della pagina Vita lenta.
A dire il vero non ho mai sposato la filosofia stacanovista del lavorare tanto, e per forza… Anche quando lavoravo a Milano come designer non lavoravo più delle mie otto ore. E a questo scopo la tecnologia mi viene in aiuto, perché è un’ottima alleata in fatto di efficienza: quando mi metto a fare una cosa trovo sempre il modo più strategico e funzionale per farla. Anche perché sono piuttosto pigro, e quindi ho bisogno dei miei momenti di relax… Quello che sto facendo è impormi un limite, come ad esempio fissarmi al massimo una call di lavoro al giorno, proprio per cercare di salvaguardare il mio tempo libero. Ci sono poi delle attività che è difficile automatizzare o efficientare davvero, come ad esempio il monitoraggio della community di Vita lenta: è un lavoro davvero fondamentale per me, perché è proprio dai messaggi delle persone che trovo l’ispirazione per la creazione di altri contenuti.
Quindi per me Vita lenta non è solo andare al mare e star lì senza far nulla, ma sono anche piccole cose… come rinviare una call se non è necessaria…


2. Parlando di efficienza e di tempo libero penso al design: da un lato la necessità di migliorare i processi allo sfinimento, dall’altro di staccare la spina per creare. È una connessione che possiamo fare?
Sì, dovrebbe essere così, ma nella realtà ciò non avviene… Prima di aprire la pagina Vita lenta (2018), vivevo a Milano e, quando tornavo in Puglia per le vacanze, facevo dei video che poi caricavo nelle stories corredandoli con un breve copy Vita lenta: un puro e semplice accostamento di due parole in italiano. Poi, durante la pandemia, quando la vita di tutti era lenta per davvero, ho pensato di condividere il mio archivio pubblicandolo su Instagram e creando un vero e proprio “brand editoriale”. Da lì in poi ho iniziato a coinvolgere i miei amici e a pubblicare anche i loro video. Ciò che ho capito è che prima di Vita lenta associavo la vita lenta al tema della noia, poi invece a quello della creatività.



3. Al di là della tua visione creativa, qual è il tuo rapporto personale con la noia?
Il tema della noia è proprio uno di quelli che volevo affrontare, bene che tu ne stia parlando! Nel 2018 avevo fatto una presentazione sulla noia all’interno dell’azienda per la quale lavoravo; ne indagavo l’aspetto scientifico, ovvero il fatto che la noia serve a far sedimentare i pensieri. C’è poi un aspetto psicologico-motivazionale, ovvero: mi sto annoiando, e quindi devo fare qualcosa per uscire da questo stato di disagio; ed è lì che vengono le intuizioni! Perché, in fondo, la noia è un trigger incredibile di creatività. Io credo che la noia vada accettata e gestita, deve far parte della nostra vita. A livello personale, ultimamente mi annoio poco… Fare tante cose assieme è il mio modo personale per sconfiggere la noia ed altre emozioni negative che posso avere. Cerco però di crearmi ‘ad arte’ dei momenti specificatamente dedicati al vuoto: come ad esempio non ascoltare più nulla durante la doccia (mentre in passato sentivo l’esigenza di riempire anche quel momento con della musica o un podcast), e dunque un momento noioso che spesso diventa molto produttivo dal punto di vista intellettuale. Ad esempio sto attualmente organizzando un evento, e ti confesso che parte dell’evento l’ho progettato in doccia…
Questa consapevolezza sul tema della noia deriva in gran parte dall’esperienza fatta col progetto Vita lenta: per fare questo lavoro di tipo curatoriale/creativo c’è bisogno di ricerca. Per me il designer dovrebbe dedicare molto tempo anche alla ricerca e all’introspezione personale, e non solo alla ricerca orientata al progetto che si deve fare… Nella vita si deve essere curiosi in senso lato, perché un giorno tutte quelle conoscenze troveranno un loro spazio. Oggigiorno, ad esempio, leggere un libro è considerata un’attività noiosa e inutile ed è dunque spesso evitata. Ed invece è proprio per la sua in-utilità che andrebbe fatta: ti aiuta ad esplorare con la mente. In un mestiere creativo come il nostro tutto il valore risiede esclusivamente sulla conoscenza – e non su un’abilità manuale per la quale dobbiamo esercitarci ripetendo una cosa cento volte – e dunque più cose conosciamo, e siamo in grado di connetterle, più saremo in grado di creare concept innovativi.



4. Nei video e negli scatti di Vita lenta emerge un’umanità molto articolata, a guardar bene tutt’altro che semplice, fatta di abitudini e rituali, ironia, contrasti, relazioni, sentimenti. In questo pot-pourri umanista, come ti definiresti? In che tipo di umanità ti riconosci? Se dovessi descriverti tramite uno dei video di Vita lenta, quale soggetto avrebbe?
Che domanda difficile… L’umanità che descrivo è frutto del caso, e questo statement è frutto di un mio pensiero curatoriale; come dicevo ho un enorme archivio di video dal quale scelgo cosa pubblicare, a volte anche con difficoltà perché vorrei riuscire a rappresentare l’umanità nella sua interezza, proprio per far passare il concetto che la vita lenta è una cosa possibile per tutti. In tanti mi chiedono: “La vita lenta è solo per gli anziani?”. La risposta è no, anche se i soggetti più adulti sono statisticamente più presenti all’aperto. Cerco di rappresentare diversi tipi di umanità, anche dal punto di vista etnico anche se non è facile, perché è una pagina con un forte feeling mediterraneo…
Passando alla seconda parte della domanda: dove mi colloco io non lo so, è davvero difficile rispondere, c’è però un reel di un tizio in Francia che legge un libro steso sulla banchina. Secondo me è molto bello perché il soggetto è in una posa molto bella, in una location interessante e grida un’espressione molto d’impatto: “Io questo libro me lo vado a leggere in mezzo alla natura, lontano da tutti e mi godo la vita”…

5. Ti è mai venuta la voglia di conoscere qualcuna di queste persone?
Sì, alcuni personaggi m’incuriosiscono molto e vorrei sapere di più delle loro vite. La maggior parte dei creator, soprattutto quelli seriali, in realtà conosce i soggetti e ci parla prima: Vita lenta è invece molto più spontanea, non c’è nulla di concordato con le persone ritratte. Dico anche che i video che pubblico non sono fatti da me, bensì da creator giovani che ritraggono molto spesso degli anziani. Mi piace molto il fatto che la pagina spinga a questo dialogo tra generazioni.



6. Parlando del tema delle cross-generazioni, ho letto un tuo articolo sul tema del cambiamento generazionale nella musica italiana: siamo sulla stessa linea poiché nell’ultima Issue di Caleido abbiamo intervistato i Santi Francesi, vincitori di X-Factor 2022. Parlando di questa nuova generazione di artisti, quali sono le leve motivazionali e di interesse?
È difficile parlare di generazioni in modo generale: ogni persona è infatti diversa dall’altra, ma si possono individuare dei pattern. Ad esempio quello della generazione dei trentenni di oggi ha a che fare col dover sfuggire da un destino che sembra segnato: un racconto di una generazione “sfigata”, la più istruita di sempre ma che guadagna meno dei propri genitori. Una delle motivazioni è dunque quella di dimostrare di voler e di saper “fare bene”. Un altro pattern motivazione è quello ambientale, ovvero il fatto che abbiamo la consapevolezza di mandare il nostro Pianeta in una direzione sbagliata, e quindi di dover fare tutto il possibile per cambiare questa direzione. La mia speranza è che ci sia anche un terzo pattern: ovvero cambiamento nei rapporti umani. La nostra generazione ha infatti vissuto un periodo di pace, dandolo per scontato, e ora invece ci siamo resi conto che la pace non era così normale…


7. Un’altra cosa che mi incuriosisce molto ha a che fare con la tua sfera privata: qual è un rituale che ti fa stare bene e/o che sblocca un eventuale momento di stasi?
Negli ultimi due anni la mia vita è cambiata moltissimo: mi sono ritrasferito in Puglia, ho iniziato a fare sport in modo continuativo, a curare la mia alimentazione e a fare psicoterapia: dei cambiamenti molto significativi per il mio benessere. Per me il rituale più importante in questo momento è la colazione – che è anche il nome della mia newsletter – farmi la moka con il caffè a casa, mi dà l’energia per affrontare tutta la giornata. Ogni tanto gioco anche a padel – attualmente lo sport più odiato – ma per me è un modo per incontrare gli amici.

8. Parte del nostro lavoro curatoriale in Caleido è quello di scegliere le immagini dai profili dei nostri ospiti. E facendo una ricerca sul tuo account ci si imbatte in un capitolo milanese che, paragonato a Vita lenta, risulta un po’ ingombrante. Perché dopo il covid molte persone hanno deciso di fare south working? Penso ad esempio ai ragazzi di Gnambox, che abbiamo intervistato alla Issue 09 di Caleido, che hanno deciso di aprire un pied-a-terre a Lecce. A cosa è dovuto questo fenomeno, e nel tuo caso qual è stato il driver?
Il mio driver è stato il caso. Prima del covid stavo addirittura pensando di comprare casa a Milano: ho vissuto molto bene la città, ho ancora molti amici. Sono tornato in Puglia per le vacanze e poi ci sono rimasto per il secondo lockdown, durante il quale ho iniziato a maturare la consapevolezza che ‘il mio sud pugliese’ non era più quello di una volta… è diventata una zona vivissima! C’è gente davvero interessante, molti dei quali fanno ancora su e giù da Milano. La Puglia in questo momento è un luogo magico. Poi, se ho proprio necessità di spostarmi, prendo un aereo e vado dove voglio. Ad oggi ci sono davvero pochi momenti in cui mi sono detto: “Se fossi stato a Milano, avrei potuto farlo”. Non penso mai di essere l’unico che è stato a Milano e che ha visto il mondo, c’è un sacco di gente che sta facendo cose fighissime, non ti senti mai solo.


9. I contenuti di Vita lenta sono definibili “video-arte”? Cosa ne pensi di questo genere di espressione artistica? Hai delle reference particolari?
Li definirei video arte alla luce del fatto che me l’hanno detto gli altri (ride), quindi da un po’ lo definisco un progetto artistico. Anche perché questo mi aiuta nell’obiettivo di spostarmi su altri canali, come ad esempio le mostre fisiche. Vorrei infatti allontanarmi da Instagram come unico canale. A livello di reference, quando ho iniziato certamente non avevo tutte quelle che ho oggi. Lo dico con modestia, ma credo che Vita lenta sia stata una delle pagine che, almeno in Italia, ha contribuito alla nascita di questo trend: possiamo definirlo neorealismo, o neo-neorealismo. All’epoca iniziavano già a vedersi su Instagram quelle fotografie “fatte male”, che però si differenziano dai miei video: quelli di Vita lenta infatti non sono ‘video brutti’, anzi! Alcuni possiamo definirli cinematografici, però hanno la caratteristica di essere non-staged, ovvero non sono creati a tavolino. Le foto di Instagram stancano perché continuano ad essere fake nell’approccio: vado esattamente in quel posto per fare esattamente quello scatto o quella ripresa, che è già stata fatta identica da altre mille persone. In alcune pagine famose devo dire che questo approccio funziona ancora, Vita lenta però è diversa: molte location dei video sono paesini totalmente sconosciuti, che devi cercarli nelle mappe. È proprio quello il mio driver: non mostrarti la costiera amalfitana che hai già visto infinite volte. Tornando quindi alle reference: posso dire che mancava quella tipologia di video, che ora invece inizia a diventare mainstream anche perché adottata da molti, anche da brand.


10. Come ultima domanda, ti chiedo quello che chiediamo a tutti i nostri ospiti: qual è un oggetto della tua casa al quale non rinunceresti mai? Qual è il ricordo legato ad esso?
Mi risulta difficile rispondere a questa domanda, perché ad ora vivo in una casa in affitto e soffro proprio del problema che non la sento ancora mia. Se proprio devo scegliere però penso ad una stampa di Roy Lichtenstein che ho comprato a Stoccolma, che mi accompagna da sempre. Rappresenta un po’ quello che era il mio gusto da giovane… Ha una cornice iper barocca, infatti da giovane venivo anche un po’ preso in giro perché mi vestivo molto colorato. Ora invece mi vesto decisamente normcore.
