INTERVIEW

Caleido intervista Federica Biasi designer

Caleido intervista Federica Biasi, designer e art director con base a Milano. Benvenuti in Caleido, diario d’ispirazione che contiene molte storie: di persone creative, di tendenze, di viaggi, di oggetti. / Leggi qui l’Editor’s letter / Guarda qui l’Instagram live interview

 

Diario di: @federicabiasistudio

Caleido intervista Federica Biasi designer
Ph. @matteoimbriani
1. In molti per descriverla usano parole come soft, delicatezza, grazia, morbidezza, aggettivi che rispecchiano lo stile del suo lavoro. Si riconosce in queste parole?

È sempre molto difficile parlare di se stessi, figuriamoci definirsi in un modo preciso… Sono gli altri che mi vedono così, associando piacevolmente il mio lavoro ad uno stile “gentile”. Se parliamo invece di me come persona, caratterialmente non mi ritengo molto “soft”. Sono una persona molto frizzante, sempre in movimento. A volte forse impaziente. Sicuramente ho cercato nel tempo di trovare un compromesso tra queste due sfere: trovo che sia fondamentale, nel lavoro ma soprattutto nella vita, trovare un accordo, e capire da soli quando è il momento di prendere posizione e quando, invece, è meglio lasciar andare.

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2. Riallacciandomi a questo argomento sono curioso di conoscere i compromessi di cui si avvale nel suo lavoro. Ha progettato molti oggetti appartenenti a categorie merceologiche differenti, ma in tutte c’è un suo tratto distintivo. Come è riuscita a mantenere integro il suo dna? In che modo da creativa riesce a salvaguardare questo aspetto?

Mi fa davvero molto piacere che si riconosca nel mio lavoro un tratto costante. A dir la verità io non sono sempre di questo avviso, anzi, delle volte quando vedo dei miei lavori mi arrabbio o sono dispiaciuta perché mi sembra di non aver conservato abbastanza la mia identità. La verità è che noi designer cerchiamo sempre di mantenere fermi i nostri capisaldi. Per quanto riguarda me, mi sono dettata una sorta di decalogo mentale “in doppia colonna”: da un lato quelle cose che sono disposta a cambiare e dall’altro quelle che non vanno assolutamente toccate. È ovvio che se un cliente mi chiede un disegno, di certo non può aspettarsi una cosa completamente diversa dal mio stile. Ma non è sempre così.

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3. Escludendo il mondo del product design, c’è qualche altro ambito per il quale le piacerebbe disegnare? Qualcosa che non ha mai fatto e che invece adesso vorrebbe esplorare?

Bella domanda. Sì, sicuramente mi piacerebbe disegnare degli accessori moda, come zaini, borse, gioielli. Non lo sto facendo ora, ma mi piacerebbe indagare molto questo settore. Lavorerei molto volentieri in questo ambito anche se, devo essere onesta, non sono una grande esperta del mondo della moda. La moda mi piace, però non la seguo assiduamente.

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4. Facciamo per un attimo un salto indietro nel tempo, quando ha trascorso un biennio in Olanda prima di aprire il suo studio a Milano. Quali sono i ricordi che conserva? C’è qualcosa che ricorda con particolare affetto? O magari qualcosa che ha preferito dimenticare?

Non vorrei dimenticare nulla. L’esperienza in Olanda è stata un periodo bellissimo della mia vita, un periodo spensierato, felice. È stato un periodo leggero, senza stress, in un Paese dove la qualità della vita è molto alta. Non ho brutti ricordi, anzi, bellissimi. Porto con me anzitutto il ricordo di tante persone: alcune che ho avuto modo di conoscere bene, altre che ho solo incrociato nel mio percorso. Oltre a loro, ho fatto mia anche la passione per lo stile nordico, che è diventato sotto alcuni aspetti parte integrante del mio dna. Quel periodo mi ha insegnato ad avere un approccio che definisco un po’ più rilassato. L’Olanda è stata per me una ventata d’aria fresca, è un luogo del cuore che ho la fortuna di visitare spesso.

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5. Parlando di ricerca, come approccia l’attività di ricerca? In modo fisico oppure si avvale anche di strumenti digitali? Ma soprattutto, come ha influito questo particolare periodo storico nella sua routine creativa?

Per fare ricerca, quella vera, bisogna andare sul campo. Fino a quando utilizzerai strumenti come Pinterest, accessibili a tutti, farai cose che tutti potranno replicare. Chiarito questo, anche io, per ovvie ragioni, mi avvalgo di strumenti digitali, ma lo faccio con l’intento di indagare a fondo. Questo periodo ha completamente stravolto le mie abitudini. Io sono una persona molto comunicativa, che per trovare ispirazione ha bisogno di vedere persone, e di dialogare con loro. Adesso far emergere il lato creativo è diventato un po’ complicato.

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6. La seguo molto e vedo che è molto vicina a tutto quello che è il processo produttivo. Ha sempre avuto questa predisposizione verso la praticità?

Sembra una banalità dire una cosa del genere, ma io capisco una cosa solo quando la vedo nella sua fisicità. Ho bisogno di rendermi conto di ciò che ho davanti a me. Per questo motivo per me i prototipi sono fondamentali, ne produciamo a decine, anche solo per valutare una minima variazione. C’è da dire però che sono una persona molto impaziente, e quindi ho bisogno di vedere tutto e subito. Il pc? Lo uso pochissimo. Appena posso mi stacco subito e vado in un laboratorio produttivo.

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7. Uno dei suoi progetti di maggior visibilità è quello realizzato per Nespresso con la “famosa” tazzina. Qual è un aneddoto legato a questo progetto?

La “famosa” tazzina? Se lo dici tu! Da dove sono partita? Semplicemente ho iniziato a studiare tazzine di tutti i bar dove sono andata. Poi ho iniziato ad analizzarle, una ad una. È stato un lavoro lungo, non tanto nella creazione del progetto – perché avevo le idee molto chiare – quanto nella cura dei dettagli. La cosa alla quale ho lavorato maggiormente è stata la resa tattile e la sezione della parte di appoggio delle labbra alla tazzina: volevo fosse molto sottile. È stato un lungo ragionamento di forme, di precisione, di dettagli millimetrici, è la mia parte preferita, quella che mi diverte di più. Adesso che il progetto è terminato, mi dispiace molto, è stato un lavoro di quasi due anni, era diventato parte delle giornate di studio.

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8. Cambiamo argomento e parliamo un po’ di social media, dove lei è molto attiva. Noto che i suoi profili sono molto curati. Qual è il suo rapporto con loro?

Personalmente amo comunicare da sempre, quindi farlo sui social non mi risulta difficile. Sono molto impulsiva, e talvolta vengo “ripresa” per la mia estrema spontaneità nel pubblicare le foto non prestando molta attenzione alla pianificazione. Sono consapevole che ad oggi i social sono uno strumento di comunicazione molto forte, ma mi piace sempre dire che non devono diventare l’unico canale di comunicazione.

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9. Oltre al suo lavoro come designer, è anche Lecturer & Teacher of CMF design allo IED. È dunque sempre a contatto con le nuove generazioni di creativi. Cosa ricerca in loro?

Questa è una domanda proprio difficile… Mi colpisce chi sa comunicare bene se stesso! Cosa ricerco io? Senza alcun dubbio la competenza, le capacità, ma non solo. Nel mio mondo si parla spesso di chi è più o meno bravo, ma trovo che tutto questo non sia sufficiente. Conta molto anche quello che riesci ad esprimere di te stesso. Sicuramente quello che apprezzo maggiormente è vedere quanto ci sia di personale in un progetto che si realizza.

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10. Qual è un oggetto della sua casa al quale non rinuncerebbe mai? Qual è il ricordo legato ad esso? Ci manda una foto scattata da lei?

Sembrerà assurdo ma sono molto legata alla vaporiera in bambù. La porto ovunque, anche in valigia se necessario. Io amo cucinare, è una passione che coltivo con grande interesse, mi aiuta tantissimo soprattutto quando ho bisogno di liberare la mente. In questo ultimo periodo ho studiato tantissime ricette che richiedevano l’utilizzo di una vaporiera e, da un po’, è diventato il mio oggetto preferito. Mi piace sotto molti punti di vista, non per ultimo quello estetico.

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Ph. Federica Biasi

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