
Caleido è un osservatorio sul mondo della creatività. Un caleidoscopio che in queste settimane, qualunque sia il panorama inquadrato, restituisce una sola immagine, quella della guerra. E la guerra è l’antitesi di tante cose, tra le quali la creatività. Questo numero di Caleido è più silenzioso e disilluso del solito, e ospita solamente questo articolo di Scenario: una riflessione sul presente, orientata al futuro.
Diario di: @magalinimarco

Ucraina. Con quello che sta accadendo dietro-casa, come possiamo continuare con le nostre vite? Credo che il senso di inquietudine che ci pervade, forse colpa, trovi origine nella nostra consapevolezza di aver avuto la fortuna (perché di questo si tratta, nella sua più totale banalità) di essere nati in una parte del mondo (attualmente) meno problematica “della loro”. Ma “loro” chi? Il “loro” sono tutti quei popoli che stanno sperimentando, ancora una volta, gli orrori della guerra.
Io la guerra l’avevo solo letta sui libri, vista tramite uno schermo o delle immagini, ascoltata dalle parole delle mie nonne, mentalizzata sfogliando alcune lettere dal fronte trovate in un polveroso baule durante un sopralluogo in una vecchia casa. Ma questa volta è diverso, e mi sto chiedendo il perché. Mi ritengo una persona informata, con capacità critica e di analisi e piuttosto sensibile; e quindi perfettamente consapevole che una guerra, sia essa in Ucraina o in Afghanistan, provoca le stesse tragiche conseguenze. Che i bambini che colpisce sono esattamente gli stessi, che la devastazione che lascia alle sue spalle sono identiche, che i traumi sociali sono uguali. Ma questa volta, comunque, è diverso… Ciò che accade sembra più vicino, è più viscerale, più familiare in un certo senso. È come se quel “loro” includesse anche “noi”. Forse per la prima volta.

Questo risvolto di profondo coinvolgimento sociale si colloca in un periodo storico di ritrovato senso collettivo, costituitosi durante la pandemia. Eravamo tutti accomunati dallo stesso enorme problema, con un pericolo (tutto sommato) democratico: un nemico comune che ci ha uniti (il famoso concetto di “metus hostilis”, cioè di paura del nemico come elemento di coesione). E proprio la conseguenza di tale evento (la coesione) è diventata causa della risoluzione del problema stesso: insieme ce la possiamo fare. Una consapevolezza che ha cambiato status: da aforisma-facebookiano è diventato realtà, una consapevolezza sperimentata in prima persona.
E ora, con questa esperienza schiacciante tra le mani, con un’Europa scopertasi popolo, come possiamo separarci davanti alla successiva difficoltà? Come possiamo separare il “noi” dal “loro”?
Prima di questa vicenda avrei scritto, senza rifletterci troppo, che “noi siamo con loro”, ora invece mi viene spontaneo dire che “noi siamo loro”. È una fusione perfetta. Una bella differenza, per chi come me si occupa di comunicazione. E dunque, ecco spiegato perché questa volta fatico davvero a continuare con la mia vita come se nulla fosse… E, anzi, trovo insopportabile chi non prova un briciolo di empatia nei confronti di quello che ci sta accadendo. Chi non si sente in dovere di tormentarsi almeno un po’.


Tornando a domandarmi il perché questa volta la guerra mi sembra più vicina, ho compreso che non ne faccio una questione di Europa, di confini, di vicinanza geo-politica, geografica o culturale, ma di ritrovata empatia. E di conseguente angoscia. Un’angoscia che ci accomuna e che si intensifica ad ogni Storia che ci appare sul cellulare. Non pubblicata stavolta da media globali o da brand dell’informazione. Ma da amici vicini, amici di amici, conoscenti, collaboratori, che ci ricordano che ciò che sta accadendo oggi a loro potrebbe, in realtà, accadere anche a noi.
E dunque, come possiamo continuare con le nostre vite? Nel concreto non so che cosa dovremmo fare di diverso dal passivo interesse per l’attualità, ed ogni risposta che provo a darmi mi suona insignificante o inadeguata. Ma ciò che di sicuro ciascuno di noi dovrebbe fare è prendersi del tempo per riflettere e trovare un modo personale per lasciare un insegnamento a chi verrà: la guerra è male. In passato c’è chi l’ha scritto in un libro o componendo una poesia, chi l’ha manifestato, chi l’ha recitato, chi l’ha cantato. E tu, cosa stai facendo per rinforzare nei tuoi posteri la consapevolezza che la guerra è male? Come li convincerai a capirlo senza arrivare a sperimentarla sulla propria pelle?

ci sentiamo impotenti davanti a tutto questo. Cerchiamo di aiutare .. con soldi, donazione, cercando case per ospitare è tutto quanto ma visto che la cosa non finisce sembra di coprire un rubinetto con dei panni .. mentre tanto di loro sono già qui salvi con noi, la continua a scoppiare in continuo. L’uomo non smette mai di deludere, nonostante la società guarda tutto tramite i social ma l’uomo non si vergogna di fare il male. Tristezza 😢
Mi sono molto domandata perché questa guerra io la senta così più vicina delle altre… Mi sono sentita molto ipocrita inizialmente. Poi ho capito che questa guerra, per la prima volta, mi fa paura. L’unica sensazione di insicurezza, paragonabile a questa, è stata quella del periodo degli attentati dell’ISIS… Ma, ad essere onesti, questa mi fa ancora più paura perché era inimmaginabile: Stati europei che si affrontano sul terreno per il controllo territoriale…
[segue] Sento la paura, attraverso persone che conosco che abitano nei paesi limitrofi… Una paura fatta di un passato ancora vivo, di un controllo e di una minaccia di un’URSS che è ancora molto reale… Molto più viva di quanto sia, per la nostra generazione, il ricordo della guerra…
[segue] È tanto ironico quanto triste pensare che un’Unione, nata per garantire la pace attraverso la comunione di risorse, riesca a svegliarsi dal torpore e dalla crisi politica solo di fronte ad un nemico comune…
I social media ci permettono di vedere la guerra in diretta, ed è straziante.
Questa vicinanza digitale ci fa render maggior conto del tutto, ci rende partecipi, ci coinvolge. Di fronte a tutto ciò che vediamo non si può rimanere impassibili.
Un senso di impotenza, di malessere, di colpa.
Vedo delicate entità che provano a sfuggire alla realtà.
Creo per loro spazi immaginari che vorrei potessero abitare.
Che danni provoca una guerra? Che effetto ha una guerra che viene documentata sui social direttamente dai civili?
Oggi le nostre menti lo sanno. Lo vedono chiaramente.
Invase da un uragano di pensieri e dubbi che non fanno altro che immaginare il male.
Non ho una focalizzazione ben precisa, come le luci nelle case quando sei in treno.
Ma un senso di impotenza, di malessere, di colpa mi invadono.
Vorrei trasformarli in forza da donare. In azioni da spendere.
Perché la guerra è male e non c’è bisogno di sperimentarla per capirlo.